LA STORIA

Il quartiere di Barra ha origini antichissime: il territorio attualmente di Barra era stabilmente abitato già dal tempo della Nea-polis fondata dai Greci intorno al 470 a.C. ed entrata poi a far parte dei domìni di Roma nel 326 a.C. Gli scavi effettuati a Barra nel 1840 e nel 1855, nella zona di Via Mastellone, portarono alla luce una necropoli greca, risalente con ogni probabilità proprio a questo periodo, anche se purtroppo non ha potuto essere ulteriormente studiata.

Nel 1865, nella zona all’incrocio fra gli attuali Corso Sirena e Via Gian Battista Vela e sotto la villa De Cristofaro, venne rinvenuta anche una necropoli romana, attestante chiaramente che, anche nel periodo della Roma tardo-repubblicana e poi imperiale, il territorio fu certamente abitato: nel senso che ospitò quelle famose “ville” romane, che erano delle vere e proprie aziende agricole, con vastissimi territori coltivati da una numerosa manodopera di schiavi.

Già nel periodo Romano sorgevano ville rustiche in questo territorio che risultava molto fertile per la vicinanza del fiume Sebeto. Il Sebeto era il nome del fiume che bagnava l’antica Neapolis, attualmente con questo nome viene indicato un fiume, oggi quasi interamente coperto, che, proveniente da Volla, passando dal vicino quartiere di Ponticelli, attraversa Barra nella zona delle raffinerie e sfocia a San Giovanni a Teduccio. Una breve tratto del Sebeto è visibile tra via Galileo Ferraris e via Francesco Sponsilli.

Con la fine dell’Impero Romano, questo territorio cadde in un graduale abbandono, e le terre un tempo fertili divennero paludose. Sconvolto dalla eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e poi dalle vicende belliche, venne in pratica quasi del tutto abbandonato dopo il 500, restando preda delle paludi e delle cosiddette “lave dell’acqua”, ossia dei torrenti di acqua piovana che scendevano precipitosamente dalle alture circostanti, scavando nel terreno quelle famose “cupe” i cui tracciati, pur dopo secolari peripezie, sono in parte visibili fino ad oggi.

Già prima dell’anno 1000, troviamo documentati  tre piccoli nuclei abitati di Sirinum, Casabalera e Tresano, che sono come le tre radici dalle quali si svilupperà l’albero del Casale della Barra.

A Sirinum che aveva come stemma una Sirena uni-càuda con corona ducale vi era una chiesetta (l’attuale Arciconfraternita della SS.Annunziata) dedicata a S.Atanasio (832-872), vescovo di Napoli dal 849 al 872;

Nel Tresano vi erano anche insediamenti ebraici;

A Casabalera si trovava un pozzo, che in seguito darà il nome alla contrada S. Maria del Pozzo.

Nel primo periodo del Medioevo, però, questo ed altri territori vennero “strappati” alle “lave d’acqua”  così che quel territorio fu chiamato “Tresano”, che può significare o “tre volte salubre” oppure, facendo risalire questo nome a un francesismo “molto sano”.

Durante il periodo del regno Normanno (1140–1194)  si verificò la nascita dei Casali, il Casale della Barra de’ Coczis: uno dei territori venduti (non infeudato, in questo caso, trattandosi di una famiglia non nobile, ma borghese) dal re Carlo I d’Angiò fu una parte dell’antico territorio demaniale del Tresàno, ceduto alla famiglia napoletana de’ Coczis “per gran denari imprestati alla règia corte”, presumibilmente nell’anno 1275.

Periodo migliore per le popolazioni fu senz’altro quello Aragonese (1443-1501).

Gli Aragonesi continuarono sistematicamente l’opera di prosciugamento delle paludi, già accennata dagli Angioini. Grazie alla politica aragonese, i Casali crebbero notevolmente e si ebbe così, intorno al 1490, l’unificazione di Sirinum e della Barra de’ Coczis nell’unico Casale detto “Barra (o Varra) di Serino”, che assunse come stemma la Sirena (divenuta però bi-càuda, a significare l’unione dei due Casali in uno) ed ebbe come chiesa l’antica Estaurìta di S.Atanasio, restaurata ed ampliata per l’occasione. Intorno al 1570, anche Casabalera si unì alla Barra di Serino, così che alla fine del Cinquecento questa contava ormai circa 1000 abitanti.

Nei due secoli del vice-regno spagnolo (Cinquecento e Seicento), si ebbe un’ulteriore consistente crescita della popolazione del Casale, dovuta alle condizioni di vita, complessivamente migliori di quelle delle altre “campagne” del regno (i “padulàni” erano contadini, per l’epoca, abbastanza agiati).

Il Cinquecento, per il Casale, fu caratterizzato soprattutto dagli effetti della applicazione del Concilio di Trento.

Arrivarono i Francescani (con il convento e la chiesa di S. Maria delle Grazie, detta però “di S. Antonio”, 1585) e i Domenicani (con il convento e la chiesa di S. Maria della Sanità, detta “di S. Domenico”, 1584). Nell 1610, cominciò a costruirsi la prima, vera e propria, “parrocchia” di tipo “Tridentino”: la parrocchia della SS. Annunziata (“Ave Gratia Plena”) detta anche “di S.Anna”.

Nel corso del Seicento, su questo tessuto sociale prevalentemente contadino, innervato solo da insediamenti religiosi, cominciarono ad innestarsi anche, in modo stabile, nuclei dell’aristocrazia e della grande borghesia arricchitasi con il commercio e la speculazione.

Il mercante-mecenate fiammingo Gaspare Roomer  fece edificare in Barra la sua magnifica villa di rappresentanza, che nel Settecento verrà poi acquisita dai prìncipi Sanseverino di Bisignano

Nel 1617 venne terminata, vicino alla chiesa di S. Maria del Pozzo, la villa Amalia.

Nel 1642 fu unito anche il territorio di Casabalera  e quasi nello stesso periodo i contadini barresi espansero verso nord i loro confini, bonificando le terre paludose (tra cui parte dell’antico villaggio Tertium, ai confini con Ponticelli). Fu così che si formò “l’università”, che aveva come congrega principale la chiesa Ave Gratia Plena, conosciuta come chiesa di S.Anna, patrona di Barra. Tra il 1600 e 1700 visse a Barra il famoso pittore Francesco Solimena, (detto “l’abate Ciccio”; nato a Canale di Serino-Avellino il 4 ottobre 1657 e morto a Barra il 5 aprile del 1747), artista che scelse il Casale della Barra per edificarvi la sua dimora, immersa nel verde dei pini, che egli stesso disegnò.

A Barra, il Solimena lasciò il celebre quadro della “Madonna delle Grazie con anime purganti”, donato alla parrocchia nel 1697, il disegno della facciata della chiesa di S. Maria della Sanità (detta “di S. Domenico”) e, ultima opera della sua vita, la bella tela della “Madonna di Caravaggio” nella omonima cappella gentilizia dei duchi di Monteleone..

Fu sepolto nella chiesa di San Domenico, sita in Corso Sirena.

Nel 1678 Domenico Mastellone fece edificare la sua omonima villa-masseria, con la cappella dedicata (nel 1699) a S. Rosa.

La memorabile eruzione del Vesuvio nel 1631 produsse danni grandi, ma non irreparabili, come la terribile peste del 1656 che portò via, invece, quasi la metà della popolazione di Barra.

La più importante memoria storica, esistente in Barra, relativa alla grande peste del 1656, è la chiesa di S.Maria di Costantinopoli allo “Scassone”, edificata dagli abitanti del luogo nel 1658 , in ringraziamento alla Vergine per la fine dell’epidemia.

Barra raggiunse in quest’epoca la sua classica configurazione di “Casale règio”con la sua bella conformazione “a nastro”, circondata da fiorenti campagne e impreziosita da magnifiche ville.

Le ville pre-esistenti vennero rinnovate o completate (villa Spinelli, villa Pignatelli di Monteleone, la villa Roomer passata ai Sanseverino di Bisignano nel 1765, le ville seicentesche, etc.), ed altre nuove ne sorsero, quali villa S. Nicandro (poi villa Giulia), villa Salvetti, villa De Cristofaro…

Per Barra, questo periodo si chiude, emblematicamente, con la realizzazione della popolarissima statua lignea di S. Anna con la Vergine (1790), ad opera di Giuseppe Picano. In un palazzetto dell’attuale Corso Sirena, sopra il cui arco di ingresso venne posta la lapide, tuttora visibile, raffigurante l’antico stemma del Casale (la Sirena bi-càuda) con il motto UNIVERSITAS. Con la (seconda) restaurazione borbonica nel 1816 nacque ufficialmente il Comune della Barra. Al 1822 risale invece la festa dei Gigli, che fu portata da Nola. Al 1890 risalgono i lavori di “risanamento”, simili a quelli avvenuti a Napoli, e la conseguente costruzione del Corso Bruno Buozzi, la piazza De Franchis e il corso 4 Novembre. Nel 1822, S.Anna venne proclamata ufficialmente celeste patrona. Della micidiale epidemia di colera del 1836-37 rimane tuttora memoria nel Camposanto dei colerosi alla Cupa S. Aniello, apprestato in quella circostanza dai cinque Comuni vicini di Barra, S. Giovanni, S. Giorgio, Portici e Resina, e versante oggi in uno stato di vergognoso e deplorevole abbandono. Dopo l’unità d’Italia (1860), Barra rimase Comune autonomo, amministrato però dalla nuova classe dirigente borghese, di formazione liberale e fedele alla Casa Savoia. L’epidemia di colera del 1884, con il successivo “Risanamento”, fornì l’occasione per realizzare i due attuali Corsi principali: Corso Bruno Buozzi e Corso IV Novembre, che si chiamavano allora rispettivamente Corso Vittorio Emanuele III e Corso Conte Spinelli, modificando così radicalmente l’assetto urbanistico del Comune della Barra.

Ma incombevano ormai le scelte cruciali per il territorio, che dovevano poi condizionarlo (nel bene e nel male) per tutto il Novecento:

  • la giolittiana Legge speciale per Napoli del 1904, che istituiva la zona industriale;
  • l’aggregazione del Comune della Barra al Comune di Napoli, operata nel periodo fascista con il Règio decreto del 15 novembre 1925;

Barra rimase comune autonomo fino al 1925 quando poi varrà aggregato al comune di Napoli. Interessata sin dalla fine degli anni ’40 da fenomeni di edilizia operaria e popolare, e sulla fine degli anni ’50 anche residenziale, dopo gli anni’70 e soprattutto dopo il terremoto del 1980 cadde, come tutta la periferia est, nel degrado e nella piaga della criminalità organizzata.

  • l’installazione sul nostro territorio della “raffineria”.

Quest’ultima scelta strategica, in particolare, operata dal fascismo negli anni Trenta e particolarmente dissennata, di insediare nel cuore della valle del Sebéto e sul corso stesso del fiume, un mostruoso impianto di deposito e di raffinazione del petrolio, micidiale per gli uomini e per la natura, fu mantenuta, ed anzi estesa a nuovi impianti pericolosi ed inquinanti, dai successivi nuovi padroni statunitensi. Si veniva così ad infliggere un duro colpo all’assetto produttivo, di agricoltura e di piccola industria ad essa legata, che identificava il territorio.

Questo, unito alla proliferante installazione, nel secondo dopoguerra, di grandi rioni-dormitorio senza qualità (dei quali, uno costruito addirittura sull’antico “Orto botanico del principe di Bisignano alla Barra”), ha determinato l’attuale assetto di Barra come quartiere periferico, destinato a “contenitore” dell’emarginazione del sottoproletariato urbano dove diffuso è il degrado e la mancanza di punti di aggregazione in un luogo diventato un dormitorio. La denuncia e il monito però viene da molti associazioni culturali che si sono costituite a Barra negli ultimi anni che lavorano sui talenti del quartieri e dell’intera periferia orientale costretti ad andare altrove per studiare ed emergere.

A giugno si è svolta la quarta edizione per “Eccellenze Barresi”, l’evento organizzato dall’Associazione “Cittadinanza Attiva per la Barra”. Protagoniste principali della manifestazione, sono state l’arte e la cultura contro il degrado e le assenze delle istituzioni, in un contesto tra i più difficili della città partenopea.

Nel corso delle quattro serate, teatro, musica e cultura con i maggiori talenti della periferia est i cori giovanili delle scuole, la banda musicale e le compagnie teatrali si sono esibiti nella cornice di Villa Roomer, un palazzo settecentesco inserito nell’itinerario delle Ville Vesuviane del Miglio D’Oro, ingiustamente abbandonato.

La kermesse è stato il risultato dell’impegno dell’associazione sul territorio, finanziata grazie ad una speciale lotteria. Un modo per coinvolgere le diverse realtà commerciali di Barra colpite dalla crisi economica, un evento occasione per mettere in luce la vitalità e la voglia di fare di un intero quartiere, sia con l’arte che con la cultura.

“Cittadinanza Attiva per La Barra”, oltre ad Eccellenze Barresi,  ha organizzato nel corso dell’anno diverse attività di promozione sociale all’interno del quartiere grazie all’aiuto dei tanti volontari che partecipano attivamente.

Il Centro Ester, dedicato allo sport e al tempo libero, punto di riferimento e di incontro per tanti giovani, inaugurato nel 1979, aveva chiuso i battenti nel giugno del 2017,  schiacciato da una pesante situazione debitoria,  ora riapre per ridare sorriso e piacere a tanti ragazzi. Il Centro Ester è la seconda polisportiva più grande della Città Metropolitana di Napoli, secondo solo al Centro Collana del Vomero riapre per ridare dignità sportiva al quartiere e alla cittadinanza.

Lo sventramento architettonico e urbanistico della città, la delocalizzazione industriale, i ritardi storici del Mezzogiorno successivi all’Unità, la plebeizzazione delle masse popolari, l’egemonia economica e culturale della Camorra, i flussi migratori verso l’estero, sono da annoverarsi tra le cause, e le concause, responsabili di tutto ciò che accade da Scampia al Miglio d’oro, dal Lotto Zero al Rione Traiano, dal Rione Villa a San Giovanni a Teduccio, dalle Case Nuove a piazza Mercato, dalle palazzine di via Villa Romana a Ponticelli, dal Rione Luzzatti a Gianturco, dalle regioni limitrofe alle ex-acciaierie di Bagnoli, ma ormai non sono indenni la Napoli aristocratica della Riviera, il Decumano maggiore, il Centro Direzionale, l’asse stradale e residenziale Galileo Ferraris – Repubbliche Marinare  compreso tra piazza Garibaldi e i comuni vesuviani.

In queste sedi si concentrano i ceti meno abbienti e i più poveri della città. Occorre uno sforzo coraggioso un impegno critico e radicale per la città, una progettualità emancipante di ispirazione per le masse depresse e sfiduciate dell’intero continente.  Barra si inserisce nei nuovi quartieri ghetto dove la mancanza di mobilità sociale ed economica rappresentano le vere frontiere da abbattere. Occorre un deciso impegno per il recupero della solidarietà sociale e l’iniziativa culturale ed economica di quartiere  che deve coordinarsi con  una politica di integrazione fiscale, lavorativa, e di cittadinanza organizzata dalle istituzioni preposte. Barra non può morire, la sua storia, le tracce di un passato glorioso non possono essere cancellati dall’assenza delle istituzioni.

Barra ha bisogno di raccolta differenziata, di spazi verdi e sportivi, di largo uso pubblico, di buon vivere, di trasporti,  di non sentirsi fuori dalla città, di risposte efficaci ed efficienti.

LE VILLE

A Barra si trovano 11 ville vesuviane del Miglio d’oro tra cui:

  • Villa Mastellone o Palazzo Mastellone dei Duchi di Limatola
  • Villa De Cristoforo
  • Villa Finizio (dimora del grande archeologo Bernardo Quaranta)
  • Villa Diana

Invece di altre nobili dimore presenti a Barra, non restano che i nomi, perché sono andate distrutte per varie cause:

  • Villa Solimena (dimora del grande pittore e architetto Francesco Solimena)
  • Palazzo Capobianco
  • Villa della Duchessa di Casamassima (denominata “La Barra” con saloni affrescati da B. Corenzio.)
  • Villa Dei Caolini
  • Villa Dei Carraturo
  • Villa del principe di Marsicanovo
  • Villa Scioriniello dei Marchesi Amato

LE FESTE.

La festa dei gigli

La “Festa dei gigli” a Barra si tiene ogni anno, durante l’ultima domenica di settembre. Nel corso della settimana precedente la domenica, nei vari rioni, allestiti dai comitati partecipanti, si svolgono folkloristiche manifestazioni. La domenica si ha la “ballata” dei Gigli che percorrono: Corso Sirena (percorso storico fino al 1954), Via Serino, Corso Bruno Buozzi e Via Luigi Martucci (questo circuito rotatorio, dà la possibilità allo spettatore di rimanere fermo ad un posto e veder sfilare davanti a sé tutti i Gigli). La “ballata” inizia verso le ore 11, poi c’è la pausa per il pranzo e termina a notte inoltrata. Non di rado la festa prosegue anche fino alle prime luci dell’alba.

In molti ritengono che la Festa dei Gigli di Barra tragga la sua origine dai riti di Cibele e Attis che si svolgeva nelle grosse comunità agrarie (come a Baiano (AV)) e dalle “Infrascate”, che si svolgeva tra il Vomero (Antignano) e altre località limitrofe anche se non esiste alcuna documentazione riguardo allo svolgimento dei due riti suddetti a Barra.

 

 

Il culto di Sant’Anna a Barra

La devozione e il culto di Sant’Anna patrona di Barra, risalenti all’inizio del ‘700, sono elementi centrali della cultura e della vita dei barresi. Per capirne il valore bisogna ricordare che i cittadini di Barra, nella maggior parte vivono una tradizione che ha le sue radici in una cultura agricola basata sulle feste e le ricorrenze religiose: ad esempio il tempo per la semina era santo (l’uva di fine luglio era chiamata infatti: “uva di Sant’Anna”). In questa cultura contadina, il santo diviene non solo il protettore del paese, ma anche il simbolo e l’orgoglio a cui si è legati particolarmente. L’ultima domenica di luglio una solenne processione si snoda tra le vie principali del centro storico di Barra e la statua settecentesca di Sant’Anna viene portata a spalla da numerosissimi cullatori sulla tradizionale Barca in cartapesta, accompagnata da un’enorme folla e da una banda musicale che suona l’antico inno creato in suo onore e musicato dal maestro Raffaele Passaro all’inizio del XX secolo. Nel caso in cui il 26 luglio, festa di Sant’Anna, coincida con la domenica, la processione si svolge la prima domenica di agosto. Per questo antichissimo culto e soprattutto per i tanti devoti provenienti non solo da Barra, la parrocchia Ave Gratia Plena è stata elevata a Santuario diocesano di Sant’Anna nel 2010.

Carmine Schiavo