Il 22 dicembre 2017 il Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo svoltosi a Torino, ha deciso di incorporare il Banco di Napoli, decretandone la sparizione come banca autonoma, mettendo la parola fine ad una banca nata nel 1539.
Dal prossimo 26 novembre il Banco di Napoli sarà definitivamente integrato al gruppo Intesa Sanpaolo, pur mantenendo il suo logo, almeno fino al 2020, nelle agenzie del Mezzogiorno.
Oltre al Banco di Napoli, l’operazione coinvolge: Banca Nuova, Banca Imi, Mediocredito Centrale, Banca Prossima, Carisbo, Banca Apulia, Cassa di risparmio del Veneto, Carifirenze, Cassa di risparmio Friuli Venezia Giulia, Cassa dei risparmi di Forlì e della Romagna e Cassa di risparmio di Pistoia e della Lucchesia.
Il Banco rientra nel cosiddetto secondo scaglione, quello che vedrà compimento in autunno. Il primo ha riguardato alcune banche scomparse il 23 luglio. Il terzo scaglione terminerà invece il 25 febbraio 2019.
Intesa Sanpaolo spiega che il marchio resterà «almeno fino al 2020, più probabilmente sino alla fine del piano industriale: il 2021. Il 26 novembre, data di efficacia giuridica dell’operazione, il codice Iban del Banco di Napoli scomparirà per i clienti. Peccato», dicono in coro, perché «il Banco è il miglior istituto del gruppo nei numeri, persino superiore alla capogruppo, e ha perso cento occupati all’anno negli ultimi dieci non rimpiazzati se non da pochissime decine di assunzioni. Non solo. Il rapporto impieghi su raccolta è al 90%, cioè qui si raccoglie più di quanto si investe, mentre altrove è l’inverso: il 108%».
Il Banco di Napoli nel 2016 e nel 2017, per il gruppo Intesa Sanpaolo, è stato un centro di profitto e non di costo con risultati più che positivi in termini di Risultato Operativo e Utile Netto.
Tutto questo avrebbe dovuto far presupporre che le sue attività andassero potenziate considerato che è stata la banca di riferimento per oltre 2 milioni di clienti.
Invece negli ultimi anni il gruppo Intesa Sanpaolo ha escluso questo territorio dall’assunzione di nuovo personale rispetto alle necessarie e reali esigenze.
Questa decisione sottrae al Mezzogiorno uno degli ultimi centri decisionali ed un sicuro punto di riferimento per l’economia reale e il progresso sociale del nostro territorio tradendo quello che era stato l’obiettivo dei soci fondatori.
Ciò comporterà l’ennesima perdita di competenza e professionalità che hanno consentito al Banco di Napoli, nonostante tutte le vicissitudini del passato, di rimanere una banca di altissimo livello e di essere sempre stata vicina a persone e imprenditoria del territorio.
Tutto questo si svolge nel silenzio totale dei nostri politici e di tutte le forze imprenditoriali del nostro territorio.
… Un po’ di storia
Con l’Unità d’Italia nel 1861, il Banco delle Due Sicilie divenne Banco di Napoli. A far data dal 1861 il Banco di Napoli, nonostante tutte le difficoltà derivanti dal nuovo assetto istituzionale e politico del Paese, moltiplicò la sua attività, intensificando i suoi rapporti con il mondo economico privato. Oltre alla istituzione di una Cassa di Risparmio, annessa in seguito alla sua Azienda Bancaria, il Banco di Napoli incrementò, in pochissimi anni, il suo patrimonio e aprì proprie dipendenze a Firenze (1867), Roma (1871) e Milano (1872).
Riuscì ad accreditare la carta di sua emissione, divenendo il secondo Istituto di credito del regno. Ciò favorì il processo di penetrazione nell’economia e nella società a favore delle categorie più industriose del Paese. Il Banco di Napoli sovvenzionò, a più riprese, l’economia napoletana e meridionale sostenendola nei periodi di maggiore necessità. Finanziò la trasformazione dell’agricoltura meridionale da cerealicola in specializzata e la maggior parte dei vigneti ed agrumeti delle regioni meridionali si avvalse dei prestiti concessi dalla Sezione di Credito Agrario del Banco. (fonte sito Intesasanpaolo)
Carmine Schiavo